La vita è come un viaggio per mare: ci sono giorni di calma piatta in cui non si scorgono nuvole sopra la nostra testa, altri in cui il vento tira forte e dobbiamo stare attenti a non perdere il controllo del timone, altri ancora in cui ci ritroviamo nel bel mezzo di un nubifragio e ci chiediamo quando raggiungemo un porto sicuro in cui poter tirare un sospiro di sollievo.
Come clowndottori, in ospedale incontriamo bambini e famiglie che stanno vivendo ognuno di questi pezzi di viaggio e, empaticamente, anche noi ci sentiamo parte della loro crociera.
Si sa, è nei momenti più complicati che si creano i rapporti più solidi e duraturi, e nella degenza spesso noi rappresentiamo uno spicchio di vitalità. E così, passata la tempesta, le relazioni ne escono indissolubili e, anche a distanza di anni, i bambini e le loro famiglie non ci associano alla malattia ma ai momenti di bellezza creati insieme.
Proprio da qui è nata l’idea del 18 giugno
Organizzare una giornata in barca a vela con bambini incontrati nel loro percorso di cura in ospedale. Per scrivere un capitolo al di fuori dell’ospedale di questo viaggio insieme iniziato in corsia. Il tutto è stato possibile grazie all’aiuto nell’organizzazione da parte dell'”Associazione Davide Ciavattini” e alla generosità di Ermanno, Presidente di www.educationsport.it , amico di una vita della dottoressa Dindoló e appassionato proprietario di una barca a vela di cui siamo stati ospiti.
Il viaggio in mare
Per i giovani marinai era la prima volta che mettevano piede su una barca: l’emozione e l’adrenalina erano tante! Appena salpati, il piú piccolo della ciurma è stato messo al timone per primo e a turno tutti hanno provato l’emozione di sentirsi padroni del mare. La giornata è volata tra virate, bagno nell’acqua turchese, pranzo al sacco e piccola siesta cullati dalle onde.
Rientrati in porto c’è chi ha domandato: “Solo una giornata? Non potevamo stare in barca una settimana?”. Questa è la grande capacità della clownterapia: permettere che si creino rapporti che non mettono etichette (sulla barca noi clowndottori non avevamo naso rosso o camice, ma i bambini ci chiamavano in maniera naturale col nome clown con cui ci hanno conosciuti in ospedale) e che si fondano sulla consapevolezza di aver vissuto insieme un pezzetto intenso di viaggio.
È stata un’emozione aggiungerne un altro pezzo costellato di svago e allegria.